sabato 27 ottobre 2012

The Search for the Real -- October



Caro/a R______,
Sono in aereo, pronto per il decollo da Jackson, Mississippi, con scalo ad Atlanta. Ormai da quattro settimane, nelle giornate libere, faccio avanti e dietro da Jackson a Los Angeles per le lezioni. Sto insegnando regia, scrittura creativa e interpretazione sia a classi della quadriennale che a classi della specialistica, e per quanto riguarda scrittura e interpretazione, per me è la prima volta. Se dovessi insegnare queste discipline come se fossero programma di un Master, saprei esattamente cosa fare, ma in questo caso sto cercando di fare le cose in maniera un po' diversa. Prima di tutto organizzo le mie classi come gruppi unificati e li faccio lavorare su un unico progetto collettivo che poi avrà una vita al di fuori dell'aula. Le classi di regia lavoreranno su soggetti individuali che saranno successivamente uniti in un lungometraggio finale. Quelle di scrittura creativa realizzeranno degli scritti che faranno parte di un'unica raccolta di monologhi, possibilmente con tematiche, luoghi e personaggi simili tra loro. In più ho inserito l'elemento della performance: ogni studente leggerà un breve passo ogni settimana, alla maniera di Spalding Grey, e sarà filmato. Alla fine ci sarà un progetto più ambizioso, in cui gli studenti partiranno da una fonte (probabilmente poesie di Komanyaaka) e la integreranno con la loro vita quotidiana per poi realizzare un video utilizzando le loro esperienze e allo stesso tempo elevandole, mescolate con qualcosa di più grande – in questo caso, l'esperienza di Komanyaaka durante la Guerra del Vietnam.

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Sono anche felice di annunciare che gli sforzi del primo di questo tipo di corsi siano confluiti in un film collaborativo, intitolato Tar, che sarà presentato in anteprima al Festival di Roma (diretto quest'anno dall'ex direttore del Festival di Venezia, Marco Muller). Non male. Sono molto orgoglioso delle mie radici alla NYU; è bello vedere che i miei ragazzi abbiano raggiunto un risultato del genere. Ho sentito che James Van Der Beek in Don't Trust the B---- in Apartment 23 sta cercando di surclassarmi come professore della NYU; bè, ora ha qualcosa di concreto con cui competere. Anche il New York Post è alla forsennata ricerca di gossip accademico, perché vogliono disperatamente beccarmi fuori da locali. Penso che Tar sia la risposta: che si fottano. 

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Poi, ho riletto Holy Land e intervistato D.J. Waldie per un progetto a cui sto lavorando con i miei studenti della CalArts. È ancora più chiaro ora quanto questo libro sia in linea con quasi tutto quello che voglio fare con i miei lavori. Waldie ha detto che prima di scrivere Holy Land ha provato a scrivere una serie di racconti brevi basati sulla stessa tematica, essenzialmente racconti di persone e luoghi di Lakewood, California, ma i suoi amici hanno ritenuto i racconti deboli e poco convincenti. In risposta a questi giudizi ha iniziato elaborare quello che poi sarebbe diventato Holy Land, il quale, paragonato agli scritti focalizzati su Winesburg, Ohio, ha una narrativa molto più scarna e include molte più informazioni storiche e fattuali. Ma uno degli espedienti del libro è la giustapposizione tra gli elementi non di finzione e quelli personali; grazie a questa giustapposizione, i frammenti di informazioni personali diventano più misteriosi e i segmenti storici prendono vita. Come la massima di William Carlos Williams: "No ideas but in things", "Nessuna idea, se non nelle cose".

Per ogni livello del libro, Waldie usa un approccio imparziale e considera ogni problematica a partire da punti di vista opposti, il che implica una convincente, ineffabile qualità. Ciò che voglio dire è che Waldie sintetizza gli opposti: opposti sono i contenuti, le inflessioni, gli stili. Ci sono tre sezioni sulla scoperta di Lakewood da parte di tre uomini che comprarono la terra all’inizio del ventesimo secolo, affiancate a sezioni su un uomo che si arrampica su una torre elettrica e a segmenti squisitamente lirici e niente affatto imagistici. Waldie include anche situazioni in cui i residenti hanno perso cose, ma guadagnate altre, vivendo nella comunità. Un senso di solidarietà e amore convive con un senso di conformità, razzismo e incomprensioni. In questo modo la comunità è elevata a qualcosa di più grande del suo significato superficiale. Diventa terreno di prova per l'illuminazione dei residenti. Si chiama Holy Land per diverse ragioni, due sono queste: neutralizzare le critiche ai sobborghi, ritenuti luoghi malefici e distruttivi e parificare l'idea di Sacro, religiosamente trascendente, con la secolare trivialità del sobborgo. Grazie a questi contrasti e gesti evasivi, diventa estremamente difficile individuare nel libro un tono univoco o un giudizio finale assoluto. Ciò che emerge, invece, è una serie sparsa di scorci elusivi e grandi emozioni, proprio come nella poesia.

Poiché Waldie ha abbandonato la sua raccolta di racconti brevi su Lakewood e ha scritto una versione più poetica e frammentaria, utilizzando lo stesso soggetto, il libro ha una struttura focalizzata meno sulla narrativa e più sul dettaglio. Accade che il lettore vede i dettagli in modi diversi: sperimentiamo le interazioni personali attraverso il giovane Waldie, la crescita della comunità attraverso una visione d'insieme della stessa, e le parti più liriche e poetiche tramite la mente di Waldie, ma anche tramite il nostro coinvolgimento puramente intellettuale. Voglio dire che non scorriamo la vicenda del libro attraverso una serie fissa di personaggi; piuttosto, la comunità ci è presentata in forma lirica, in modo che quasi ci sembra di leggere la storia del posto da un libro di storia, con l'importante distinzione che il materiale storico è contenuto in porzioni frammentarie punteggiate da sezioni personali. La storia così acquista un altro livello di significato, perché ora avvertiamo il personaggio e l'autore dietro alle scene meno soggettive e coinvolgenti. Vediamo che Waldie dà vita a collage utilizzando fatti antichi; prende informazioni da ogni tipo di fonte e le combina insieme, creando inflessioni diverse relative e al fattuale e al personale.

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Qualche altro appunto:
 
Ho visto On The Road al Toronto Film Festival. Ricordo di aver fatto un audizione per il film tre o quattro anni fa, insieme a Josh Hartnett – non occorre dire che né io né lui abbiamo ottenuto quelle parti, basate sui giovani Kerouac e Cassady. Io ho interpretato il giovane Ginsberg in Howl subito dopo. Ci è voluto un bel po' perché On The Road uscisse nelle sale, e questo nel corso di 50 anni in cui il materiale è stato modificato, rivisto e cambiato, perché noi siamo cambiati. Quando Marlon Brando è morto, fu trovata nella sua casa una lettera di Kerouac a cui non ci fu risposta, scritta negli anni '60. La lettera chiedeva a Brando di interpretare Dean Moriarty al fianco di Kerouac, nei panni di Sal Paradise; sono piuttosto sicuro che l'idea fosse di guidare per quelle strade descritte nel libro e filmare l'avventura in 8 mm. L'idea è straordinaria e mi dispiace che Brando non la considerò mai. L'altra parte divertente della storia è che Kerouac passava spesso dalle parti dell'Actors Studio perché considerò l'opzione di cimentarsi con la recitazione e la regia (da vedere Pull My Daisy di Robert Frank, con Allen Ginsberg, scritto e letto da Kerouac); un impulso che corrisponde al suo bisogno di liberarsi delle pagine e al suo estremo disprezzo per la cornice letteraria; quell'impulso che probabilmente ha spinto sulla strada Kesey e i Pranksters dopo aver scritto Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo e Sfida Senza Paura; lo stesso impulso che ha portato Kaprow dalla tela ai "performative Happenings".

In ogni caso, sembra che le versioni cinematografiche di On The Road vogliano sempre essere tanto grezze quanto lo era il libro al momento della prima uscita alla fine degli anni '50, cercando sempre di catturare accuratamente lo spirito del periodo – se Brando avesse seguito l'idea di Kerouac, le location sarebbero state già lì a disposizione, i due avrebbero dovuto essere semplicemente se stessi e quello sarebbe stato il film. Ma nel 2012 la maggior parte delle location dev'essere ricreata, così come gli atteggiamenti e le scene, che devono essere proprie degli anni '50, senza apparire come oggetti da museo. Mentre guardavo il film, non smettevo di ringraziare Walter Salas per averlo fatto. Le immagini sono talmente belle; è come se in qualche modo lo dovesse agli eroi della Beat Generation. Gli attori sono tutti molto bravi. Ma ho anche pensato al documentario che a quanto pare Salas ha realizzato durante gli anni di ricerca – e sono stati tanti anni – che consiste nel racconto dei suoi viaggi attraverso tutte le location autentiche. Ho il sentore che quando vedremo i contenuti speciali del DVD, saremo anche noi trasportati sulla strada.

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Infine, ho sentito che sono stato con Selena Gomez, Kristen Stewart e Ashley Benson. Però! Ho tutte le fortune, eh! Magari fossi riuscito ad essere più vicino della tredicesima fila del teatro di Toronto in cui Kristen ha incontrato il pubblico durante lo screening di On The Road, ma non ce l'ho fatta; non solo non le ho parlato, ma non sono neanche andato alla SoHo House, dove hanno detto di avermi visto chiederle un appuntamento. Quanto alla Gomez e alla Benson, loro sono le ragazze di Bieber e non oserei immischiarmi con il Biebs. A quanto dicono, mi vuole morto. Accidenti!

Autore: James Franco
Traduzione: Chiara Fasano per James Franco Italia

6 commenti:

  1. ci mancava solo dawson..certo che l'invidia è davvero una brutta cosa!

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  2. Non capisco se il commento su James Van Der Beek, sia serio o no. Perchè, andiamo, si tratta di una battuta in una serietv. James, non dare troppo peso a queste cose :))

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  3. io voto per serio :D
    (ma poi in tutti i telefilm che ho visto ci scappa sempre una battuta su franco)
    in realtà odia ancora dawson perchè tutti hanno preferito Dawson's creek e non freaks and geeks XD

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  4. Io preferirei di gran lunga che nessuno apprezzasse il mio stupido telefilm degli esordi e avere una carriera brillante come quella di Franco piuttosto che essere ricordato a vita solo per aver interpretato il ragazzotto imbranato di Cape Side come nel caso di Dawson.
    E in ogni caso secondo me James fa bene a prendersela e a rispondere. Se si arrabbia é perché prende il suo lavoro sul serio e ha tutte le ragioni.
    A me piuttosto stupisce molto il suo commento su Bieber . Quella era veramente una cosa su cui tacere e passare oltre. XD

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  5. Devo dire che ha sorpreso anche me perchè non ha mai commentato il gossip. In questo periodo però ci stanno dando dentro con lui, non ne potrà più ahah

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    1. Ahah! secondo me però un po si diverte a sguazzare nel gossip..
      In fondo ha anche pubblicato la foto di lui e la Stewart su Instagram!o_O

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