venerdì 17 gennaio 2014

The Dark Appeal of ‘Blackfish’



di James Franco

Parlano tutti di Blackfish, il nuovo documentario sulle balene killer addestrate per fare degli spettacoli nei parchi di divertimento. Nello specifico, si tratta delle orche in cattività del parco acquatico Sea World, le quali si sono violentemente ribellate contro i loro addestratori e contro gli spettatori.

Si può dire che sia una sorta di film attivista, ma il messaggio sui diritti degli animali è ben analizzato, perché gli effetti sono brutali e richiedono attenzione da parte del pubblico. Ed è così strano pensare che giganteschi mammiferi marini, altamente intelligenti, non dovrebbero essere messi in cattività? Vivono in unità familiari verosimilmente legate da rapporti più stretti di quelli delle famiglie umane e parlano perfino una loro lingua e un loro dialetto. Così, quando individui di diversi branchi sono messi insieme e spiaccicati l'uno con l'altro per dare spettacolo in piscine strettissime, le cose possono rapidamente diventare tese e ostili.

E' un materiale allo stesso tempo spiacevole e coinvolgente, ma a volte mi chiedevo quale fosse lo scopo finale, il che mi ha lasciato con alcuni punti interrogativi. Il documentario è indirizzato ad un bersaglio specifico: Sea World? E se estendessimo quella che sembra essere la tesi del film a tutti i Sea World e gli altri parchi acquatici simili, risolveremmo il problema? Non sono uno specialista o un esperto in materia, ma so che molti degli habitat naturali delle balene sono stati danneggiati o distrutti negli anni. Quindi, se salvassimo le centinaia di balene in cattività, come suggerisce il film, faremmo davvero qualcosa di significativo? Oppure lo scopo del documentario è farci capire quanto sia moralmente scorretto tenere gli animali in cattività per il divertimento umano, specialmente quelle specie con una particolare intelligenza? Forse è questo il punto nel film?

E questo mi ha portato a farmi altre domande, tutte relative alla forza del film. Sea World sta già subendo le conseguenze; proprio ieri il cantante country Trace Adkins ha cancellato la sua apparizione all'evento del parco acquatico "Band, Blues e BBQ". C'è una ragione per cui tutti vogliono guardare questo film e commentarlo e non credo sia perché siamo tutti amanti segreti delle balene. Certo, deve colpire al cuore il modo in cui le balene sono presentate come amabili esseri deboli, abusati e imprigionati contro la loro volontà, ma credo che la ragione principale per cui il documentario è così coinvolgente sia che il suo valore di intrattenimento è alto, proprio a causa degli assassini di balene e di uomini che si intende giudicare.

Blackfish avrebbe potuto facilmente essere un altro monotono documentario del tipo "salviamo le balene", in cui ci vengono forniti i fatti riguardanti le sofferenze delle balene in e fuori cattività. Invece di predicare e utilizzare lunghe immagini belle, ma senza ispirazione, in cui delle balene nuotano pacificamente nell'oceano, il documentario, come molti film d'azione o thriller di successo, fa leva su una violenza viscerale all'interno del contesto trito e ritrito della battaglia dell'uomo contro Madre Natura. Questo elemento viene amplificato dall'ambientazione principale del film, un parco di divertimenti architettato per genitori che sperano di innestare ricordi gioiosi nei loro bambini. Il grave trauma di una manciata di bambini impressionabilli vale la felicità di quelli che hanno investito in ciò che in superficie sembra un bel balletto di uomini e animali, ma che sotto le onde e gli schizzi d'acqua è un concerto di abusi e violenze? Quando si tratta di animali è inevitabile che ad un certo punto la parte più debole si ribelli e che qualcuno venga ucciso e a volte di fronte a dei bambini! In un'era in cui abbiamo a disposizione tante forme di intrattenimento (un'era in cui, per quanto ne so io, un bambino passa più volentieri del tempo davanti ad un'iPad che in qualsiasi altro posto), abbiamo davvero ancora bisogno di addestrare gli animali per il divertimento degli umani? Non sarò io a rispondere a questa domanda, ma non vi farebbe male pensarci un po' su e decidere da che parte stare.

Quando guardiamo National Geographic Channel cosa vogliamo vedere? Se siamo onesti, risponderemmo più o meno così: "Voglio vedere quei cavolo di leoni dare la caccia alle antilopi e placcarle e strappar loro via la carne, pezzo dopo pezzo, perché anch'io sono un animale. In fondo ho anch'io questa tensione—distruggere le cose, prendere selvaggiamente quello che voglio, quando voglio—ma la società mi trattiene". Se si va giù, fino in fondo, al di là della filantropia e del maltrattamento degli animali, è questo il motivo per cui il film è così coinvolgente. Momenti di equilibrio e di sollievo sono dati dalle riflessioni dei dolci vecchi addestratori con buone intenzioni che parlano, alcuni in preda all'emozione, delle loro esperienze con con le balene killer del Sea World. Per la maggior parte, le loro testimonianze fanno sembrare il parco un posto che offre grande cura e amore ai suoi animali, sebbene all'interno di spazi piuttosto stretti. Il risultato è dato dal fatto che i registi hanno usato ex addestratori, persone emotive con secondi fini per far apparire Sea World un impero malvagio piuttosto che un luogo in cui vengono impiegati specialisti esperti nel loro campo, ma che a volte devono chiudere un occhio di fronte a pratiche obsolete? Lascio a voi la risposta.

In ogni caso, caspita se è eccitante vedere il derivante collasso della facciata viscida e stucchevole di Sea World, pubblicizzato come il divertimento ideale per le famiglie, che crolla clamorosamente attraverso le testimonianze incalzanti, la musica spettrale e gli atroci filmati amatoriali delle balene che attaccano gli umani. E' come un reality show ambientato nel Colosseo a Roma, che riesce ad ottenere compassione per gli animali e sdegno per l'istituzione che maltratta queste imponenti creature, tutto mentre furtivamente si anticipano le scene in cui vediamo l'orrore delle bestie e degli attacchi umani. Il documentario fa un buon lavoro nel mostrare non tutto l'orrore, come il precendente eccezionale documentario di Werner Herzog, Grizzly Man, che usa dei filmati amatoriali, in cui però non vediamo mai il momento esatto delle morti, ma questo approccio è ancora più intenso e ricco di pathos.

Alla fine Blackfish è un documentario del tipo "salviamo le balene" reimmaginato come Moby Dick: si ottiene la stessa eccitazione dell'epopea in mare aperto ed è facile odiare i "cattivi" che maltrattano gli animali. Poi, io non ho figli, quindi non ho nessun desiderio di andare al Sea World. E anche se non lo ammetterei mani, se dovessi comprare un biglietto per uno spettacolo acquatico con le orche, sarebbe per lo stesso motivo per cui considererei di guardare una gara di Formula 1: starei lì ad aspettare—e forse anche morbosamente a sperare—che qualcosa vada storto. Blackfish mette in chiaro questo segreto, oscuro desiderio senza sentirsi in colpa. Stai male per le balene eppure, proprio come il pubblico del Sea World che paga bei soldi per tenerle in cattività, stai a guardare lo spettacolo che mettono su.

© VICE, traduzione italiana Chiara Fasano

Nessun commento:

Posta un commento